Maturità

Maturità: rito di passaggio o festa degli adulti?

Maturità: rito di passaggio o festa degli adulti?

Chi non ricorda il proprio esame di maturità? Fermiamoci un attimo a recuperare quell’esperienza. Bene o male che sia andata, resta il passaggio più denso e significativo del percorso scolastico di ciascuno di noi. Il suo valore profondo non consiste nel voto finale ma in ciò che questa tappa rappresenta simbolicamente: è un rito di iniziazione. Il passaggio dal mondo della scuola che scandisce e accompagna l’apprendimento (con i suoi ritmi, con i volti conosciuti degli insegnanti, con i suoi banchi, con le classi che fanno sentire agli studenti di “appartenere” a un gruppo) al mondo sconosciuto del futuro: le scelte, l’università, l’autonomia, l’assunzione di responsabilità.

Cosa significa essere “maturi” ?

Una tappa simbolica, un rito di passaggio che in quanto tale proprio per sua natura non può che essere intriso di emozioni. “Maturo!” “Matura!”, si legge ogni giorno sui social sulle foto pubblicate. Ma cosa significa essere “maturi”? Non si tratta solo di sapere, di esporre le conoscenze acquisite, si tratta di saper essere, di sostenere una prova, di fare i conti con l’ansia, le aspettative, il giudizio esterno, l’ambizione, l’autovalutazione. E’ anche il momento della nostalgia, del saluto a ben 13 anni di vita sui banchi di scuola, delle amicizie intense e dei primi amori, un addio a un mondo che ha bisogno di essere elaborato. E’ il momento in cui si fanno i conti con il percorso compiuto e si apre lo sguardo al futuro con un misto di timore e desiderio.

Il ruolo degli adulti

Qui si apre la domanda: qual è il ruolo degli adulti in tutto ciò? Perché il dibattito si riaccende tra mazzi di fiori, spumanti, corone d’alloro, foto instagrammabili…forse il fanalino di coda di quei fumogeni che i genitori iniziano già a sparare al termine della scuola primaria quando un tempo vigeva ancora l’esame di quinta elementare come rito di passaggio alla preadolescenza anticipata di adesso. (E ribadisco: i fumogeni!!).
Che cosa stiamo davvero celebrando e qual è il bisogno degli adulti? C’è una finalità educativa nei confronti dei ragazzi oppure c’è la risposta ad una necessità dei genitori? Perché le azioni, i comportamenti, le scelte, nascono sempre da un bisogno interno, spesso inconsapevole. Sono domande che nascono dall’osservazione di un’enfatizzazione e dal desiderio di comprendere il cambiamento a cui stiamo assistendo. Da che mondo è mondo i riti di passaggio sono tali e rispondono a specifiche coerenze, segnano un prima e un dopo, oggi questo sta venendo meno in nome di un flusso continuo di festeggiamenti e divertimenti in cui gli adulti prendono parte in modo esasperato.

La relazione fra impegno e soddisfazione: il raccolto di frutti meritati

Sembra che non importi più la valutazione, importa la foto con scritto: “maturo”. E invece no, il come si conclude un ciclo di studi, è fondamentale. E lo sappiamo che la persona non è il voto! Importa però la relazione tra impegno e soddisfazione, importa che i ragazzi sappiano valutare il raccolto di frutti meritati e di cui esser fieri. Perché no, non va bene il “bravo!” semplicemente perché tanto è finita. Quello a cui sempre più si assiste è un progressivo svuotamento del significato del merito e della fatica, in nome di una gratificazione continua e indiscriminata. Dove sta il confine tra ciò che si conquista con impegno e ciò che si riceve a prescindere? Sia chiaro, non è una questione di bouquet o spumanti ma è ciò che simboleggiano, e che diventa via via sempre più tragicamente un’abitudine che si consolida e di conseguenza il modo in cui accompagna alla vita.

Educare è anche riflettere sullo spazio e sul tempo della propria presenza

Il rischio più grande di tutto ciò è l’alibi. L’alibi con cui si mascherano queste azioni attraverso la facciata di attenzioni empatiche e gesti d’amore. Educare è anche riflettere sullo spazio e sul tempo della propria presenza, sullo spazio sacro di cui una persona ha bisogno per compiere il suo processo evolutivo, e oggi in questa società sta saltando completamente il concetto di “lasciar andare”, di “sana distanza” per essere sostituito da quello di onnipresenza mascherata da bene incondizionato e puro, di cui però il bisognoso è l’adulto che non sa rinunciare ad essere lì dove non deve essere. “Non c’è niente di male” mi sento spesso dire, e allora riformulo: “Cosa c’è di bene?”.

Anticipare tutto toglie senso, annulla il valore

La maturità non è la laurea, il diciottesimo non è un matrimonio, la Prima Comunione non è la festa della principessa in abito bianco, la festa dei tre anni non prevede l’affitto di un locale. Di chi sono queste feste? Qual è il valore profondo di queste occasioni? A che bisogno adulto rispondono? Anticipare tutto toglie senso, annulla il valore, svuota di desideri e di ambizioni. L’illusione di rendere felici i bambini e i ragazzi riversando su di loro ciò che neanche immaginano e chiedono (che poi diventa pretesa perché “tutti fanno così”), è ciò che sta portando alla deriva della fragilità, della dipendenza e dell’incapacità di tollerare una frustrazione.

Amare è saper stare un passo indietro

Amare è saper stare anche un passo indietro, al proprio posto. Si riesce a restare a casa, nel porto sicuro in cui, dopo il turbinio della giornata, i ragazzi torneranno dopo che hanno navigato tra le onde? E’ qui che si gioca la meravigliosa simbologia dell’essere quell’ adulto che attende, che accoglie, e del ragazzo che ritorna da chi gli dà radici e ali. E in quel momento si apre quel racconto che è originale proprio perché l’adulto non l’ha vissuto e ora è lì per condividerlo. Lì, a casa, si torna per sentire la domanda di sempre: “Allora, com’è andata?”, che quel pomeriggio ha il sapore della fiducia, dell’attesa, del silenzio, della presenza sicura. Di un gesto d’amore consapevole.

Laura Mazzarelli

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