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“Li faccio dopo…”
Il momento in cui i bambini devono approcciarsi ai compiti è sempre il più delicato, c’è sempre un “dopo”, c’è sempre qualcosa di più interessante per distrarsi o anche semplicemente qualche pretesto che serve ad allontanare il momento in cui si devono sedere alla scrivania. Se ci pensiamo anche noi adulti spesso utilizziamo lo stesso meccanismo per rinviare qualcosa che non abbiamo voglia di fare. A livello emotivo più rinviamo qualcosa e più diventa ingombrante e faticosa quindi occorre affrontarla subito con determinazione e rigore, occorre definire insieme i tempi. L’adulto ha il compito di ritualizzare il tempo e scandirlo fino a quando il bambino non avrà sviluppato un’autonomia tale da riuscire ad organizzarsi da solo.
I bambini a volte si lamentano del fatto che leggere sia faticoso e noioso “non voglio leggere, leggi tu, sono stanco…”…bhè, hanno ragione!
Il bambino, mentre impara a leggere, mentre traduce un codice scritto in parola con un significato preciso, non vive la bellezza della narrazione. E’ così concentrato sulle sillabe, sulla parola singola, che l’espressività della lettura, la capacità di contenere la lunghezza di una frase, l’aspetto simbolico della narrazione si perdono in questo esercizio di decodifica. Ecco allora che il sostegno dell’adulto è fondamentale. Leggere per loro con enfasi, leggere per emozionare, per far nascere in loro il desiderio di esplorare i mondi possibili contenuti meravigliosamente in un libro.
E dentro ciascuno di loro.
Da tanti genitori emerge questo tema: “Il bambino mi sfida”; “Lo fa apposta per mettermi alla prova”; “Aspetta e guarda la mia reazione”. Come viviamo tutto ciò? Ma soprattutto siamo proprio sicuri di dare a quel loro comportamento la giusta interpretazione?
Il bambino a due anni entra fisiologicamente in una fase critica che durerà per qualche tempo, in cui cerca con tutto se stesso di costruirsi la propria identità e di manifestarsi come individuo separato dall’adulto. Come può costruirsi l’identità se non misurandosi con l’adulto? Egli si sta affacciando al mondo, è sempre più padrone del suo movimento e sta verificando che il linguaggio, benchè con poche parole, ha una portata sociale. Il bambino chiede di esprimersi, di essere attore e non spettatore della costruzione del suo percorso esistenziale. Fateci caso, tantissime volte i bambini ci dicono:“Mamma, guardami!”, “Guarda Maestra guarda!”. Ed è proprio un: “Guarda me, io esisto, io sono competente, io ci sono!”.
Il bambino non ci sta sfidando, il bambino sta costruendo la sua identità. Allora in quest’ottica, nell’essere collaboratori nella costruzione della sua identità e della sua unicità, cerchiamo di coltivare in loro l’autostima.
E’ un dato di fatto, tra i tre e i cinque anni soprattutto, la cacca è una delle parole preferite. I bambini ridono, ridono, ridono… sembrano posseduti da una risata sciocca e senza senso.
I termini preferiti dai bambini sono quelli che si riferiscono ai bisogni corporei. Forse questo è un modo per esprimere curiosità e soddisfazione verso un’acquisizione che li fa sentire grandi (andare in bagno senza pannolino).
Non c’è niente di più potente che togliere la censura, svelare, dare voce a ciò che pare proibito per liberare e dissolverne la portata.
Ho iniziato a usare la parola incriminata anche io: “Maestra cosa fai?” “La cacca!” e giù a ridere di nuovo. Ecco fatto! Ridere, il segreto è ridere. Ridere, esorcizzare e poi, solo allora dialogare liberamente e affrontare la questione.
Che dire, nel giro di due giorni tutto è rientrato. Provare per credere.
Proviamo a ricordare l’emozione pura di quella notte magica in cui non volevamo mai andare a letto e di quel mattino seguente in cui, con un pigiama felpato troppo lungo, scendevamo le scale di corsa con la fiducia incondizionata di trovare i doni sotto l’albero. Eravamo saggi un tempo, noi adulti di oggi, perché prima di scartare i pacchi lucenti, andavamo a contemplare quel bicchiere di latte mai completamente vuoto e quelle briciole intorno al piatto, segno che Babbo Natale aveva potuto ristorarsi un po’ grazie a noi, prima di ripartire per onorare e rispondere alla sua missione.I bambini non hanno bisogno di regali ma del dono autentico che possiamo fare loro tutte le volte che incontriamo Babbo Natale, quello vero, dentro di noi. Tutte le volte che riscopriamo la magia dentro di noi. I bambini ci chiedono una comunicazione esistenziale senza parole, veicolata da atti, riti e simboli. E allora cominciamo a scrivere “Caro Babbo Natale…” ma stiamo attenti, con carta e penna, non vale via e-mail!
È importante sapere come funziona un bambino nella prima infanzia, soprattutto per come relazionarsi positivamente a lui. I bambini utilizzano la dimensione della magia per leggere il mondo e muoversi in esso, e gli adulti si rapportano a loro con la dimensione logico-razionale che caratterizza la loro modalità di pensiero.
La mente del bambino si basa sui principi dell’animismo, ovvero attribuisce ai fenomeni e agli oggetti sentimenti, volontà, possibilità di azione… a tutto e a tutti, anche alle cose inanimate. Attraverso la magia i bambini si danno la spiegazione del mondo, per questo le fiabe sono così importanti a questa età. I bambini ci insegnano e ci chiedono di tornare responsabilmente alla nostra dimensione magica, che forse abbiamo perso ma che è fonte di un grande nutrimento per la nostra anima. I bambini, se lo scegliamo, ci donano la possibilità di recuperare la nostra magia, di offrirla, di condividerla, di ricrearla. Possiamo fidarci di loro.
Parlare della morte significa parlare del mistero della Vita, parlare della morte significa non poter spiegare con la mente, significa contemplare senza razionalizzare, significa arrendersi a qualcosa che ci trascende. I bambini hanno bisogno di verità, hanno bisogno di poter parlare di questo aspetto e ce lo chiederanno nei momenti più impensati, quando noi non siamo pronti, sarà così, come una porta in faccia. I bambini hanno bisogno di sapere che il contrario di morte non è Vita ma è nascita, e che la Vita le racchiude entrambe. Come il seme muore per dar vita a una pianta, come l’albero perde tutte le sue fogli ciclicamente, ma continua a esistere. I bambini hanno bisogno di sapere che non verranno tenuti all’oscuro di cose importanti e questa certezza risparmierà loro un’ansia incessante. Se siamo sinceri e onesti con loro, sapranno che possono contare su persone degne di fiducia, e almeno il dolore della perdita sarà sostenuto e compensato dalla certezza di relazioni che possano infondergli sicurezza, lealtà, condivisione. Così, guardando un cielo stellato potranno sentire, nel loro cuore, di non essere soli, perché l’Amore sopravvive alla morte. >> APPROFONDISCI
La dinamica coi bimbi che mordono e picchiano: “aggredire” significa “andare verso” e ciò mette in luce il bisogno relazionale e comunicativo del bambino. A questa età egli non ha ancora gli strumenti per rispondere a questa sua necessità in modo adeguato e utilizza prevalentemente il corpo per conoscere il mondo ed esprimere i propri bisogni. Sapere questo sposta l’adulto dalle sue paure, dalle sue proiezioni e dal suo sconforto e lo dispone a sentimenti di empatia, ad offrire strumenti che possono accompagnare il piccolo nella sua esperienza relazionale. Il bambino che picchia ha più bisogno di cura di colui che viene picchiato, lui stesso è il primo che rimane male emotivamente per la sua azione.
Grazie alla comprensione, all’esempio, alla mediazione, all’accompagnamento empatico il bambino attraverserà questa fase e acquisirà via via strumenti relazionali più adeguati.
Il concetto di “grazie” o di saluto per “buona educazione” loro non ce l’hanno. E’ qualcosa di estremamente lontano da loro. E’ qualcosa che va testimoniato dall’adulto e che si acquisisce col tempo. Possiamo accompagnare i bambini con l’esempio, ma un esempio gratuito, totalmente gratuito, senza pretesa. Io adulto dico “grazie” perché io sono grato, perché io provo il sentimento di gratitudine, perché credo fortemente che il sentimento passi, la parola è solo un involucro vuoto che vola via. Il bambino respira il senti
mento di gratitudine, non se ne fa nulla della parola vuota. Poi un giorno, magicamente, quando meno ce lo aspettiamo, lo dirà anche lui.
Quel biscotto rotto per il bambino spesso rappresenta la goccia che fa traboccare il vaso di una tensione precedentemente accumulata. Può capitare che i bambini usino pretesti per noi incomprensibili, per spostare le motivazioni e autentiche dei disagi che non riescono a esprimere, su questioni di minor rilievo. Lasciamo che il bambino si sfoghi e allontani lo stress e che ne possa uscire alleggerito, senza razionalizzare ma semplicemente e pazientemente, accogliendo.
Ciò che realmente, profondamente, cercano e desiderano e’ la certezza della presenza della mamma nel caso ne avessero bisogno, quel bicchiere d’acqua simbolicamente rappresenta la sicurezza dell’esserci dell’adulto di riferimento.
Si può quindi attingere all’ultima goccia di pazienza e porgere ai bambini l’acqua con dedizione e amore per consentire loro di addormentarsi con tranquillità.