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Bambino che fa i capricci

La disregolazione emotiva nei bambini

La disregolazione emotiva: cos’è e come supportare i bambini. L’essere umano prima di arrivare ad autoregolarsi, un’acquisizione complessa che richiede parecchio tempo, deve passare da una regolazione che parta dalla relazione con l’adulto di riferimento.

Che cosa è la disregolazione emotiva

La disregolazione emotiva è una sorta di interruzione dell’equilibrio interno in relazione ad aspetti che riguardano la mente, il corpo e l’ambiente e si manifesta con delle risposte comportamentali inadeguate per un determinato contesto. L’essere umano prima di arrivare ad autoregolarsi, un’acquisizione complessa che richiede parecchio tempo, deve passare da una regolazione che parta dalla relazione con
l’adulto di riferimento. Perché il bambino, da solo, non è assolutamente in grado di equilibrare i suoi stati d’animo interni, ed è quindi proprio nella relazione con i grandi che il piccolo impara a regolare le sue emozioni.

Quando la disregolazione emotiva non è a livello patologico, si tratta proprio di aspetti che riguardano delle espressioni di emozioni in modo un po’ esasperato: il bambino non comprende cosa gli sta succedendo quando l’emozione arriva e lo attraversa. E, non avendo ancora sviluppato una competenza verbale e razionale adeguata, utilizza il corpo come strumento per manifestare le emozioni. Per esempio urla, lancia gli oggetti, si butta per terra, morde. Ma potrebbe accadere anche che la disregolazione si manifesti con uno stato di passività o di disconnessione: si può isolare, si può incantare, può muoversi in modo non fluido o bloccarsi a livello verbale. Queste sono proprio delle modalità che il bambino utilizza per attraversare degli stati emotivi troppo intensi, che non riesce e non ha ancora imparato a gestire da
solo.

Quali sono le cause della disregolazione emotiva

Le cause che portano alla disregolazione sono diverse e variano in relazione all’età. Ad esempio fonti di stress per i neonati da 0 a 1 anno sono tutte quelle cause fisiologiche come la fame, il cambiamento di temperatura corporea, la percezione del caldo e del freddo, il dolore, il sonno. Tutti questi aspetti generano nel bambino uno stress, che ovviamente lui manifesta con il pianto, agitandosi. In queste situazioni
soprattutto nel primo anno, è importante la modalità con cui l’adulto riesce a sintonizzarsi e a gestire il bisogno del bambino: è tutto basato sulla qualità della relazione. Per aiutarli a tranquillizzarsi subito spesso basta lo sguardo della mamma o del papà che incrocia i loro occhi, una carezza, un tono di voce pacato ed empatico.

Ricordiamoci sempre di non lasciare passare troppo tempo tra il pianto del bambino e la compensazione di quel bisogno: se piange, bisogna cercare di comprendere nel più breve tempo possibile che tipo di pianto è, se è il momento di dargli da mangiare o se si tratta di un pianto di dolore. Questa connessione con l’adulto crea una sorta di danza interattiva tra espressione del bisogno da parte del piccolo e risposta della mamma o del papà a quel bisogno. Il primo anno, se agito in modo adeguato, responsabile e consapevole, genera nei piccoli la prima base della loro serenità. I primi mattoni per quella che sarà il suo successivo sviluppo emotivo!

Quando succede dopo i 2 anni

La disregolazione emotiva a partire dai 2 anni inizia a diventare più impegnativa. Questa sorta di relazione deve adeguarsi a quello che è lo sviluppo del bambino: intorno ai due anni inizia quella che viene considerata la fase dei “terribili due”. Un periodo molto complesso, perché il piccolo vive in quel momento l’emozione in maniera esasperata. Ha iniziato a parlare, a esplorare, a muoversi e fondamentalmente dice tre parole: io, mio e no. Il bimbo vuole manifestare la sua identità e lo fa sempre usando come “pungiball” l’adulto di riferimento. Vuole suscitare una risposta ai suoi bisogni, vuole ottenere delle cose, ma si trova davanti al fatto che non tutto ciò che lui desidera gli è permesso. Quindi entra in una frustrazione molto forte: lì iniziano le grandi crisi a livello emotivo. E l’adulto deve mettere in atto tutta una serie di altre strategie rispetto a quelle che metteva in campo con il neonato.

Accompagnare il bambino

Il bambino va accompagnato, e si attraversa questo momento insieme, lavorando sul proprio stato di calma senza prendere la questione sul personale. Perché se non lo si attraversa in maniera adeguata e, usando un termine tecnico, “sufficientemente buona”, si rischia che il bambino metta in atto da solo dei meccanismi di compensazione. Meccanismi che però non sono funzionali e che, per esempio, possono portare a forme di chiusura, di autoconsolazione, o di “autolesionismo” come picchiarsi da solo o sbattere la testa contro una parete, creando così alcune problematiche, da cui poi nascono disturbi e fragilità. Dal punto di vista della complessità dell’essere umano, non si possono separare le emozioni dall’aspetto cognitivo: emozione e cognizione vanno avanti insieme. Quindi teniamo conto che il cervello di un bimbo molto piccolo non è in grado di comprendere cosa gli succede, non è in grado di dare nome alle emozioni: sperimenta la rabbia, ma non sa che quella si chiama rabbia e cosa comporta; vive la gelosia, ma non è consapevole degli effetti che questa gli va a scatenare dal punto di vista comportamentale.

Quale ruolo ha l’adulto: il marcatore somatico

Il ruolo dell’adulto diventa fondamentale per creare quello che, a livello neuroscientifico, si chiama marcatore somatico. Che è proprio una sorta di solco: cioè più l’adulto riesce a rispondere adeguatamente al bisogno del bambino, più il marcatore somatico che si crea diventa funzionale al suo sviluppo. Dunque è importante che il bambino, ogni volta che attraversa una crisi emotiva, riesca a risolverla in modo funzionale a quello che è il suo processo di crescita. Ogni volta che vive questa esperienza di positività, il bambino inizia a interiorizzare che può accadergli di vivere un’emozione anche forte, l’emozione ha delle manifestazioni, ma lui non è quell’emozione e la può attraversare senza frantumarsi interiormente.
Solitamente qui gli adulti fanno una grande confusione: utilizzano strumenti per sedare l’emozione, ma non gliela fanno attraversare, perché ne hanno paura o perché quell’emozione entra in risonanza con le loro. Succede quindi che il bambino non riesca a comprendere che cosa sta accadendo dentro di lui.

Sviluppo emotivo e sviluppo cognitivo

Questi marcatori somatici vanno poi a influenzare direttamente l’aspetto cognitivo: se io ho un’esperienza di superamento di un’emozione in modo positivo, anche le mie scelte future saranno condizionate dai criteri che ho interiorizzato. Come comportarsi quindi quando si scatena la rabbia? Un bambino non riesce ad eseguire un’azione che vorrebbe, ad esempio impilare dei cubi: dopo qualche tentativo fallito si arrabbia e lancia tutto. A quel punto, l’ideale sarebbe che un genitore gli dicesse una frase tipo: «Ti sei innervosito tanto vero? Vieni, riproviamo insieme. Hai visto che ce l’hai fatta?». Che cosa accade al piccolo in questo caso? Rafforzerà la sua autostima, avrà di fianco un adulto paziente che lo accompagna, vivrà comunque quella frustrazione ma poi riuscirà a dire: “Ok, ce l’ho
fatta”. Così, la volta successiva, quando si troverà di fronte a un’esperienza simile, avrà sicuramente un moto di paura, ma quel “marcatore somatico” gli si riattiverà: gli riporterà alla memoria l’esperienza positiva già vissuta e gli ricorderà che ce la può fare. Quindi il bambino sarà portato a rimettersi in una situazione di difficoltà adeguata al suo sviluppo.
Molto diverso è il caso in cui “Davanti ad una pila di cubi caduti e al conseguente scatto d’ira del bambino il genitore potrebbe reagire anche con frasi tipo: «Sei troppo piccolo, lascia perdere, guarda che disordine che hai fatto». Che pensieri attraversano la mente del bambino? “Mollo tutto, lancio tutto, non faccio niente, non sono capace”. Davanti ad un’altra situazione simile quindi il bambino riattiverà questo
senso di paura e inadeguatezza, si bloccherà e scapperà.

Responsabilità educativa

Qui si evince la responsabilità educativa e il ruolo educativo che ha l’adulto. Che è enorme, perché in base a come l’adulto si relaziona riesce a costruire, a plasmare il cervello del bimbo. La neuropedagogia dice proprio che c’è un impatto delle azioni educative, della relazione educativa che va a plasmare il cervello del bambino: le emozioni vanno ad attivare l’aspetto fisiologico e quindi il sistema nervoso. Per esempio, quando il bambino si arrabbia, diventa tutto rosso, aumenta la frequenza cardiaca, la frequenza respiratoria, aumentano l’adrenalina e il cortisolo. Poi però è importante che tutto ciò venga incanalato attraverso una buona relazione. E questo ruolo lo svolge il genitore, la figura di riferimento.

Tratto dall’articolo “La disregolazione emotiva nei bambini”  apparso su nostrofiglio.it

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