Supportare i bambini nel momento dei compiti
In questi giorni molte mamme e molti papà sono alle prese nell’accompagnare i loro bambini a portare a termine i compiti delle vacanze, impresa non sempre semplice.
Vediamo le principali motivazioni che i piccoli studenti avanzano per ovviare al problema e qualche suggerimento per noi adulti, in modo tale da non iniziare in modalità Mary Poppins e finire in stile Crudelia Demon.
“Li faccio dopo…”
Il momento in cui i bambini devono approcciarsi ai compiti è sempre il più delicato, c’è sempre un “dopo”, c’è sempre qualcosa di più interessante per distrarsi o anche semplicemente qualche pretesto che serve ad allontanare il momento in cui si devono sedere alla scrivania. Se ci pensiamo anche noi adulti spesso utilizziamo lo stesso meccanismo per rinviare qualcosa che non abbiamo voglia di fare. A livello emotivo più rinviamo qualcosa e più diventa ingombrante e faticosa quindi occorre affrontarla subito con determinazione e rigore, occorre definire insieme i tempi.
Ad esempio: il sabato mattina si fanno i compiti, un tempo dedicato, ritualizzato, destinato a quel dovere da svolgere che poi consente di vivere il resto del fine settimana in libertà e spensieratezza. Il bambino in questo va sostenuto, va accompagnato, l’adulto ha il compito di ritualizzare il tempo e scandirlo fino a quando il bambino non avrà sviluppato un’autonomia tale da riuscire ad organizzarsi da solo. Sicuramente il bambino a volte tenderà ad opporsi o a svincolarsi ma se con fermezza si resta coerenti all’impegno per il bambino la scansione temporale diventerà una routine e una sicurezza.
“Non voglio leggere …”
I bambini a volte si lamentano del fatto che leggere sia faticoso e noioso: “ Non voglio leggere, leggi tu, sono stanco…”…bhè, hanno ragione! I bambini che iniziano il percorso scolastico si trovano di fronte a un passaggio importantissimo, un passaggio che prima di riguardare quel bambino singolo, ha riguardato la storia dell’Uomo: il passaggio dall’oralità alla scrittura. Imparare a leggere vuol dire decifrare un codice, attribuire un significato a dei segni grafici convenzionali e per quanto affascinante possa essere è estremamente faticoso. Il bambino, mentre impara a leggere, mentre traduce un codice scritto in parola con un significato, non vive la bellezza della narrazione. E’ talmente concentrato sulla parola singola, che l’espressività della lettura, la capacità di contenere la lunghezza di una frase, l’aspetto simbolico della narrazione si perdono in questo esercizio di decodifica. Ecco allora che il sostegno dell’adulto è fondamentale: riconoscere lo sforzo che il bambino compie e nello stesso tempo fargli sentire che la parola che ha appena letto appartiene a una frase più ampia, che veicola un significato importante per lui. Ad esempio, leggere insieme ai bambini le consegne degli esercizi da svolgere, aiutarlo a capire cosa deve fare, qual è la richiesta del compito è fondamentale per sostenerlo nello svolgimento dell’esercizio senza frustrazione.
“La maestra non l’ha spiegato …”
Quando i bambini non riescono a ritrovarsi in ciò che gli è stato assegnato o non hanno voglia di capire la richiesta del compito ributtano la questione sull’insegnante: “A scuola non l’abbiamo fatto, la maestra non l’ha spiegato” …per tentare di aggirare l’ostacolo. Bisogna considerare che i bambini spesso fanno ancora fatica a comprendere che uno stesso concetto può essere affrontato in modi differenti, che ci sono soluzioni diverse per risolvere uno stesso problema e se non ritrovano lo stesso criterio che gli è stato spiegato, o viene aggiunta una variabile non si orientano più. E’ importante allora sedersi accanto a loro e farli ragionare su ciò che hanno davanti, fare in modo che siano loro, attraverso domande guida, a riconoscere che ciò che gli viene richiesto è alla loro portata e sono in grado di svolgerlo. Occorre che l’adulto lavori in quel margine di possibilità in cui il bambino può innescare un processo cognitivo, a seconda del suo stile di apprendimento, attraverso un supporto che non è sostituzione ma è accompagnamento.
“Ho lasciato il quaderno a scuola…anche il libro”
Bisogna sempre tenere presente che il bambino può anche trovare mille scuse ma dentro di sé, in fondo, profondamente, ci tiene a fare bella figura, a compiere il suo senso del dovere e a rispondere al compito. Al di là dei comportamenti che mette in atto il bambino vuole essere “bravo”. Lasciare il quaderno a scuola è un ostacolo contingente: non posso fare i compiti, ho una giustificazione, posso essere lasciato in pace. Anche qua l’adulto può sostenere il bambino facendogli trovare una soluzione alternativa: facciamo i compiti su un foglio e domani lo ricopi sul quaderno, oppure lo incolliamo. Troviamo soluzioni affinchè il problema si possa superare e affinchè la sostanza ci sia. Stessa cosa per il libro…l’hai lasciato a scuola ma studiamo l’argomento attraverso una ricerca su internet, attraverso, un altro libro che abbiamo a casa…il punto è non far passare al bambino il concetto che dimenticarsi le cose lo sottragga dalla responsabilità, tutt’altro: lo spinge a risolvere il problema trovando strade alternative ed efficaci che dovrà poi condividere con l’insegnante assumendosene la responsabilità.
“Non sono capace”
“Non sono capace” … “non ho capito, non ho voglia, sono stanco” …. “non sono capace” in realtà veicola tante cose. Al bambino va riconosciuto lo sforzo, va riconosciuta la propria competenza empaticamente: “Fammi vedere dove non sei capace, in che cosa, ti aiuto a capire questo pezzettino e poi vai avanti da solo…”. “Non sono capace” si può trasformare, l’adulto può fare in modo che non diventi un limite ma che si trasformi in una possibilità di ascolto empatico, spostandosi magari per un attimo dal fare i compiti al parlare insieme su come ci si sente, narrando di sé. La mamma e il papà possono raccontare che anche quando loro erano piccoli non si sentivano capaci e allora si apre un mondo di riconoscimento e di incontro: i bambini amano ascoltare che anche noi siamo stati bambini come loro una volta.
“Sono troppi, non finirò mai”
La frustrazione di pagine e pagine di esercizi di matematica, che si svolgono a livello meccanico, i numeri scritti disordinati, frasi e frasi di analisi grammaticale…il bambino vede davanti a sé una montagna insormontabile di compiti. Allora l’adulto può suddividere con il bambino la mole di lavoro organizzando il tempo, lasciare delle pause e sostenerlo nella fatica riconoscendogliela e nello stesso tempo incitandolo a non mollare. A volte è difficile anche per gli adulti trovare il senso in tutte quelle pagine di compiti e allora si può anche dire, ammettere la fatica ma anche far capire al bambino che spesso e volentieri la vita chiama a fatiche che vanno affrontate e superate. Senza mai, mai, accusare l’insegnante, per evitare che il bambino si spacchi in due: non dimentichiamo che per un bambino la maestra è sempre la “sua maestra”. La responsabilità educativa è sostenere i bambini nel senso del dovere e nella propria responsabilità, accompagnarli a superare qualcosa di gravoso, non lasciarli soli e portarli a vivere la soddisfazione del dire: “Finalmente ho finito!”, con quella sensazione di tutto a posto e di tutto compiuto.
La priorità è proprio questa e non è certo: “Voce del verbo…..” che sia noi sia loro recitiamo come una vecchia cantilena …
“Stai qua vicino a me”
I bambini hanno bisogno di noi. A volte la nostra paura di abituarli alla nostra presenza sottrae loro la partecipazione di un adulto indispensabile. La nostra presenza si deve basare su un ascolto autentico dei bisogni del bambino, senza paura di viziarlo e calibrandiosi con l’età: la collaborazione dell’adulto all’inizio della scuola primaria sarà diversa da quella all’inizio della scuola secondaria. L’adulto deve avere chiara la sua finalità educativa leggendola in relazione all’unicità del bambino che ha davanti (la diversità tra i bambini la conosce bene chi ha più figli!). Se mio figlio mi chiede di esserci ascolto il suo bisogno, ascolto profondamente se è un capriccio, un vizio, un rito, una richiesta, sono libero di dire di sì o di no, ma partendo da un ascolto autentico. Il bambino che fa i compiti non ha ancora interiorizzato che li fa per se stesso, che può diventare responsabile di sè, rispondendo di qualcosa a qualcuno e quel qualcuno è la mamma o il papà, è la maestra. Qualcuno che lo veda, che lo riconosca, che lo accompagni, fino a quando sarà in grado di andare nel mondo in autonomia e avrà costruito il suo senso di responsabilità.
Dottoressa Laura Mazzarelli