La fase dell’egocentrismo e della costruzione dell’identità del bambino.
Cosa succede al bambino quando gli diciamo di condividere i suoi giochi?
Ho attraversato un piccolo parco giochi e non ho saputo resistere alla tentazione di ascoltare discretamente lo scambio di battute tra una mamma e il proprio figlio, di circa tre anni.
Il piccolo stava giocando serenamente con la sua palla, che così lucida doveva essere nuova di zecca, la tirava sullo scivolo e la guardava tornare verso di sè, concentrato e immerso in questa sperimentazione.
Ad un tratto si avvicina una bimba che, con la mano più veloce del West, prende la palla e la abbraccia con forza. Il piccolo emette un urlo che ha immobilizzato il resto del parchetto, diventa letteralmente bordeaux e con foga si getta sulla bimba e riprende la sua palla.
La mamma visibilmente in imbarazzo esclama a bassa voce: “Dai, presta la tua palla alla bambina!”. E lui, ben orgoglioso di averla riconquistata le risponde “E’ mia!”.
Lei gli spiega che bisogna condividere, che a palla si gioca insieme, che non gli comprerà più niente se fa così, ma lui le risponde nuovamente:“E’ mia la palla!”.
A questo punto la mamma si avvicina, gli prende la palla dalle mani e lui scoppia a piangere disperato, urlando e pestando i piedi a terra. Lo fa sedere sulla panchina e gli dice che se continuerà a fare così non avrà mai amici.
Ma perché un bambino di questa età non vuole prestare i suoi giochi? Perché risponde sempre: “E’ MMmmmio!!!”?
Egli attraversa una fase di assoluto egocentrismo caratterizzato dalle parole “Io, mio, no!”, fase fondamentale per la costruzione della propria identità che avviene misurandosi con gli altri. Inoltre ha iniziato a manipolare gli oggetti e ne è attratto: li considera come prolungamenti di se stesso, e con questi oggetti dialoga come se avessero un’anima propria. A volte sono preziose anche le foglie secche di cui si riempiono le tasche, o le carte delle caramelle…
Quindi ciò che l’adulto deve fare, consapevolmente, è proprio tutelare quel “E’ MIO” andando oltre la paura che il proprio figlio posa diventare una persona egoista. Se rileggiamo a livello pedagogico la scena sopra descritta, la mamma in questione pretende che il figlio presti la sua palla ma non si preoccupa minimamente della modalità con cui la bimba gliel’ha sottratta (anch’ella mossa legittimamente dal desiderio di giocare). Hanno prevalso l’ambizione di dover educare alla condivisione e la paura del giudizio degli altri.
Ciò che è importante fare è tutelare il bambino con frasi del tipo:“Ti sei arrabbiato perché la bimba ti ha portato via la palla? Hai ragione, è tua, ma è così bella che anche lei desidera giocarci. Ti va se gliela facciamo vedere insieme?”.
Poi occorre rivolgersi anche alla bimba dicendole: “Avevi voglia di giocare con la palla? Sai questa palla è sua e ci tiene molto perché è nuova”.
Con un atteggiamento di questo tipo entrambi si sentono riconosciuti nei loro rispettivi bisogni e tutelati dell’adulto, che a quel punto potrebbe continuare a farsi da garante della relazione giocando con entrambi i bambini.
In questo modo testimoniamo empatia, garantiamo contenimento emotivo e rispettiamo il percorso evolutivo del bambino. Vivendo questo clima di armonia, e sentendosi rispettato, il bambino si aprirà naturalmente ai sentimenti del rapporto e arriverà a condividere spontaneamente semplicemente perché la relazione con gli altri è fonte di benessere.
I bambini così piccoli funzionano prevalentemente attraverso il cervello rettiliano (istinto) e crescendo, grazie alla maturazione della neocorteccia, passeranno dalla fase di egocentrismo alla capacità di decentrarsi cognitivamente ed emotivamente, comprendendo anche i bisogni degli altri.
Ora facciamo un esercizio: come ci sentiremmo se qualcuno di cui ci fidiamo ci obbligasse a prestare (a uno sconosciuto!) la nostra macchina nuova e ci sgridasse qualora dovessimo rifiutare?
Dott.ssa Laura Mazzarelli