La punizione viene inflitta con rabbia, una conseguenza si esplicita con calma e chiarezza.
Mi sembra importante chiarire questo aspetto che emerge spesso nei colloqui di consulenza pedagogica.
Una prima differenza quindi è l’atteggiamento interiore dell’adulto e la sua capacità di riconoscere le sue emozioni e le parole che derivano da esse: ciò che esce dalla mia bocca è una reazione emotiva o è una risposta educativa? C’è da considerare anche che il cervello di u n adulto è arrivato a maturazione, quello di un bambino no.
Poniamo il caso che un bambino di tre anni trovi per casa un pennarello e inizi a scarabocchiare il divano.
“Ma cosa hai fatto? Dammi subito quel pennarello! Adesso non lo userai mai più!” ecco la reazione.
Dopo aver riconosciuto e accolto la propria emozione di spavento, rabbia e frustrazione, ecco la risposta:
“Adesso questo pennarello lo tengo io, e quando avremo pulito il divano lo useremo insieme solo sui fogli.”
La punizione è focalizzata sull’evento, la conseguenza sull’apprendimento.
Se un bambino dà un pugno al fratello lo fa per una serie di emozioni che non riesce ancora a controllare, e quindi fa riferimento al suo corpo per manifestare quell’emozione (gelosia, possesso ecc…). Il suo istinto lo domina ancora, del resto la sua corteccia prefrontale non è ancora matura. Ma il bambino sa di aver fatto una cosa sbagliata e tutto il suo essere è già in allarme! Se l’adulto gli urla addosso focalizzandosi sul suo gesto dicendo: “Adesso fila in camera tua, te l’ho detto mille volte che non si fa”, il bambino non apprende niente. Se l’adulto invece governa la sua emotività e si dispone come un arbitro tra i due bambini coinvolti leggendo le emozioni di entrambi accompagnando a riflettere sulle conseguenze il bambino potrà avere un modello di riferimento che gli illustra come gestire quella situazione in futuro. Questo non garantisce affatto che non lo rifarà mai più ma del resto anche se finisce in camera sua con una sculacciata non è garantito che non ripeta quel gesto, anzi, tutt’altro, le connessioni che si creano nel suo cervello saranno disfunzionali.
La punizione non è coerente con l’evento, la conseguenza si.
“Se non ubbidisci subito quando ti dico di mettere il pigiama non ti leggo più la fiaba della buonanotte” è un ricatto, un potere che utilizza l’adulto, si basa su una separazione, io adulto e tu bambino siamo in opposizione e l’adulto è prigioniero del suo stesso potere che ogni volta dovrà rimodulare per fare in modo che il ricatto abbia presa in relazione agli interessi di crescita.
“Quando avrai messo il pigiama leggeremo la storia della buonanotte altrimenti questa sera non avremo il tempo per farlo”, è una condizione, è posta al plurale, è coerente alla richiesta. L’adulto è libero, saldo e autorevole.
Sapere che ci sono delle conseguenze crea nel bambino il senso del confine e della sicurezza, gli fa anche sentire che l’adulto ha fiducia nelle sue possibilità. La punizione o il premio non mettono il focus sul processo di crescita del bambino ma solo sui suoi comportamenti e su ciò che noi tolleriamo o meno, pertanto non educano.
Dott.ssa Laura Mazzarelli
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