Interpretare l’aggressività dei bambini e strumenti efficaci.
Abbiamo tutti sentito parlare della fase dei “terribili due anni” (the terrible two) e può succedere che a quest’età il bambino inizi a mordere e a picchiare. L’atto del mordere, così come quello del picchiare, porta con sé tutta l’ansia e la preoccupazione degli adulti che possono leggere queste manifestazioni come mancanza di rispetto e a volte addirittura come anticipazioni di bullismo.
C’è una cosa che è importante sapere riguardo l’aggressività e che all’inizio della mia carriera di insegnante mi ha molto sostenuta nell’affrontare la dinamica coi bimbi che mordono e picchiano: “aggredire” significa “andare verso” e ciò mette in luce il bisogno relazionale e comunicativo del bambino. A questa età egli non ha ancora gli strumenti per rispondere a questa sua necessità in modo adeguato e utilizza prevalentemente il corpo per conoscere il mondo ed esprimere i propri bisogni. Sapere questo sposta l’adulto dalle sue paure, dalle sue proiezioni e dal suo sconforto e lo dispone a sentimenti di empatia, ad offrire strumenti che possono accompagnare il piccolo nella sua esperienza relazionale.
Di norma succede così: un bimbo ha un gioco, l’altro bimbo lo vuole (non dimentichiamoci che questa è l’età in cui è tutto “Mmmio!!!”) e non ha ancora sviluppato un linguaggio adeguato per formulare una frase che esprima richiesta, tantomeno è coltivata in lui la pazienza necessaria per attendere…quindi cosa fa? Strappa di mano il gioco! L’altro bimbo lo trattiene tirandolo a sé, accade che arrivi o il morso o una sberla e alla fine …piangono entrambi!
Questi piccoli litigi hanno un valore formativo per i bambini: servono a fare in modo che essi prendano le misure a livello relazionale…imparare a “litigare bene” è fondamentale per la vita! Può far sorridere ma è così. I litigi vanno letti quindi in un’ottica di sviluppo affettivo, come una fase del processo di socializzazione.
E noi adulti quindi ? Cosa possiamo fare?
Noi abbiamo il ruolo di mediatori. Il bambino è ancora immerso nella sua fase egocentrica e sensoriale e non ha uno sviluppo cognitivo adeguato a capire razionalmente le nostre spiegazioni. Quante volte ci ritroviamo a dire al bambino: “te l’ho detto mille volte che non si morde, non l’hai ancora capito?”. Il bambino non va sgridato nella sua globalità per non demolire la sua persona, invece di dire “Ma cosa hai fatto???” provare a dire “ma cos’è successo alle tue manine?” “So che ci tenevi tanto a prendere quel gioco, andiamo a chiedere insieme se ce lo presta?”. I bambini non sanno ancora organizzare da soli una situazione ludica e occorre che l’adulto giochi con loro. Per fare un esempio concreto: c’è una macchinina sola, la vogliono in due…perché non costruire insieme una bella pista di macchine, parcheggiando un attimo quell’oggetto del desiderio in garage? In questo tempo si può recuperare lo stato di calma per poi tornare a usare le macchinine in un secondo momento, con la mediazione adulta. Ciò non significa che i bambini non debbano più giocare da soli, significa essere garanti quando sentiamo che la tensione relazionale tra coetanei sta salendo fino ad esplodere.
Il bambino che picchia ha più bisogno di cura di colui che viene picchiato, lui stesso è il primo che rimane male emotivamente per la sua azione. Occorre che l’adulto gli dia la possibilità di rimediare: la stessa mano che ha picchiato può dare una carezza all’amico, la stessa bocca che ha morsicato può dare un bacino. Questo fa sentire al gruppo di bimbi che assiste che l’educatore accompagna tutti anche nelle difficoltà, che ci sono soluzioni che nutrono la relazione, che quel bimbo non va allontanato. Che si può sbagliare e si può rimediare, che si amati ugualmente.
Non bisogna mai dimenticare che questi episodi non riguardano solo il bambino che morde, ma anche il bambino che viene morsicato e soprattutto tutti gli altri bambini che assistono alla dinamica e di cui noi adulti siamo in equal modo responsabili. Un intervento che sia educativo e che sia efficace non può limitarsi alla soppressione di un comportamento ma deve sostenere lo sviluppo del bambino a partire da quel comportamento, deve partire da un ascolto profondo del suo bisogno all’interno del contesto relazionale in cui è inserito.
Dare nome, tradurre in parola i gesti dei bambini, fa in modo che essi possano sentirsi compresi e capiti e tutto ciò sviluppa anche la loro intelligenza emotiva. Parlare degli accaduti coi bambini, utilizzare la dimensione narrativa, anche con i più piccoli che magari non parlano ancora bene, trasforma il conflitto occasione di apprendimento. Grazie alla comprensione, all’esempio, alla mediazione, all’accompagnamento empatico il bambino attraverserà questa fase e acquisirà via via strumenti relazionali più adeguati.
Ciò che conta è avere pazienza, tantissima pazienza perché il bambino, mosso dal desiderio di scoprire il mondo e dalla sua istintività, non riesce a controllarsi per il semplice fatto che “gliel’abbiamo ripetuto mille volte!”.
Dott.ssa Laura Mazzarelli